Oggi,
mentre stavo attraversando l’ashram, qui in
India, un giovane di New York mi ha fermato. Ha detto: “Stavo proprio
cercandovi, ed eccovi!” Per qualche minuto abbiamo
avuto una piccola conversazione gradevole. Preparava un video sulla felicità.
Guardai lo Swami che era vicino a me. Una gran luce nei suoi occhi si
è aggiunta a quella che brillava già nei miei e tra noi passò un’ondata di
gioia. Sapeva che stavo per scrivere questo articolo. Avevamo già discusso
insieme i diversi aspetti della felicità in quegli ultimi giorni. Quindi,
quando il giovane ha detto che quello stesso argomento costituiva il suo
interesse essenziale, si è insinuata in me una scintilla d’incanto. La felicità
può essere così semplice, così spontanea!
Ha
cominciato subito la sua intervista domandandomi: “Cos’è che vi soddisfa?”
“Niente mi
soddisfa”.
“Niente?”
“Davvero…
non cerco la soddisfazione”.
Un po’
stupefatto e con l’incertezza negli occhi, sembrò spiegazzare la risposta come
si fa con una stoffa prima di buttarla
via. Poi ha continuato dicendo che ciò che si augurava con quel video era di
ispirare le persone. Ha detto che voleva intervistare le persone che avevano
“seguito il loro sogno”. L’ho semplicemente ascoltato con attenzione; poi ha
detto: “Alla fine, se voi rincorrete
qualcosa…”. Si è fermato a metà della sua frase e ha cominciato a osservare, un
po’ perplesso, quello che stava per dire. I suoi occhi si persero lontano
nell’onda, come se stessero provando a ritrovare l’idea di prima. I pezzi del
puzzle si stavano disordinando, come se fossero mal sincronizzati: “Se
rincorrete o seguite…”, ripeté
grattandosi la testa, perplesso.
Ho sentito
che era il momento buono per eclissarmi; allora ho chiesto a Swamiji di andare a parlargli un poco, per capire cosa
volesse da me e sono andata via rapidamente per andare a destinazione. Dovevo
incontrare il mio Maestro per il nostro abituale thè
delle 16. Lui offre il thè e io lo bevo. Mi ha
offerto ormai più di mille tazze di thè da
diciassette anni che siamo insieme. E’ un momento meraviglioso. Amo davvero
molto stare seduta in sua presenza. Ha ottanta anni passati e il tempo che
passiamo assieme è pieno di una coscienza più preziosa che mai. Questo
addolcisce un istante dopo l’altro. A
volte parliamo, a volte stiamo in silenzio. E’ un momento felice molto
semplice. Tuttavia, per essere del tutto onesta, non percepisco quasi più la
felicità separata da ogni altra cosa. E’ un modo meraviglioso di vivere… Che
benedizione!
Abbiamo
mantenuto il silenzio per qualche minuto e ho sentito che Maharaji
entrava profondamente in meditazione; benché di solito mi ci immergo con lui,
decisi di bere il thè e di lasciare vagabondare la
mia mente sulle ali della felicità. Per meditare su questo, ho chiuso gli occhi
un istante, per vedere ciò che il silenzio stava per portare.
Tre immagini sorsero nel mio cuore.
La prima
immagine fu quella di Nonna Kachina, che m’accompagna
attraverso il mondo. Lei è un’immagine sacra degli Indiani Hopi
e sorride sempre. Ecco perché mi accompagna. Quando la guardo, poco importa la
situazione, anch’io sorrido.
Di recente,
una studentessa era molto rattristata per lo stato tormentato del nostro mondo.
L’ho messa di fronte a Nonna Kachina e le ho detto di
ricevere il messaggio dell’immagine
sacra Hopi. Così fece e sentì nascere dall’interno
una felicità autentica. Comprese che tutto viene dall’interno; e il messaggio
di Nonna Kachina è che quel tutto è sempre a disposizione.
Buon insegnamento! Buon rimedio! E’ l’identità che sottrae la nostra gioia
naturale e, troppo spesso, noi lasciamo che si produca questo creandone noi
stessi le condizioni. Sembra che le persone amino cercare la felicità in cose
che sembra rendano felici. E’ vero che si può trarre molta gioia da certe cose,
ma…non dura, come ogni cosa non dura. Allora, a che scopo, alla lunga…, visto
che tutti cercano una gioia duratura?
Siamo stati
condizionati dal primo giorno a credere che possiamo rinnovare continuamente le
nostre cose per restare felici. Effettivamente questa idea mantiene ben oliate
le ruote del mercato internazionale, ma non garantisce la felicità a vita.
L’identificazione con il fatto di avere e non avere, che va con “il troppo non
è mai abbastanza”, è la condizione prestabilita che è utilizzata per stimolare
il nostro corpo desideroso. Questo crea un desiderio irresistibile di qualche
cosa, perché, nel momento in cui otterrete quella cosa, sarete felici. Ma poi,
la novità inevitabilmente si usurerà. L’eccitazione di avere, alla fine perderà
il suo splendore, come il miraggio di una verde oasi che scompare nella sabbia
infuocata del deserto.
Noi
pensiamo che la felicità sia altrove; ecco perché usiamo ogni sorta di cose che
devono essere soddisfatte prima che possiamo godere della felicità, mentre la
felicità è sempre in noi. Gli esseri umani hanno un tale ventaglio di
meraviglie e di bellezza nel loro cuore, e però la maggior parte del tempo le
perdono, nella ricerca di ciò che hanno già. Trovo questo dolorosamente
stupefacente. Abbiamo deciso… che se volessimo ottenere la felicità,
bisognerebbe che l’avessimo a nostra volta. Qualsiasi cosa possa essere, deve
apparire così come pensiamo che debba essere. Il fatto è che viviamo istanti
d’allegria qua e là, ma la vera felicità è intrinsecamente incondizionata,
spontanea e non complicata. Una reale
soddisfazione non ha bisogno di nulla, come la millesima tazza di thè con il Maestro, o il sorriso dell’immagine in legno di
una nonna. Basta semplicemente riconoscere a qual punto sia semplice,
nell’istante stesso in cui la gioia intrinseca nasce in noi dall’interno. C’è
stata anche un’altra immagine che è sorta dal silenzio, mentre il Maestro
meditava e io bevevo il thè. Era l’immagine di Budda
sorridente come nonna Kachina. Allora mi sono
ricordata di un insegnamento che Lui aveva dato quando qualcuno tentava di
rubargli la gioia insultandolo. Budda ha proposto una pratica in
quell’insegnamento. E’ destinata a quelli che vogliono andare al di là dell’identificazione
da tutto ciò che ci può allontanare dalla Verità, tutto ciò che oscura la gioia
che è sempre dentro di noi.
Eccola…
Dopo aver
dato il suo insegnamento, Budda era seduto tranquillamente e i discepoli erano
seduti con lui. Nel bel mezzo di quel silenzio, un uomo si alzò e cominciò a
dire a Budda a qual punto fosse imperfetta la sua visione delle cose e a qual
punto ingannasse le persone parlando di quei modi di vita inconcepibili. Budda
era seduto e ascoltava, ma non si muoveva e non rispondeva. Il suo sorriso
dolce era sul suo viso, non c’era alcuna traccia di contrarietà in lui. Egli
non ascoltava con nessun particolare atteggiamento, restava semplicemente calmo
e presente e anche ricettivo.
I discepoli
di Budda s’agitarono un po’, per vedere chi provocava una tale tempesta in un
momento di pace con il gran Maestro. Poi, l’uomo insultò di nuovo Budda dicendo
che voleva essere importante e che aveva costruito quella cosa che chiamava
illuminazione e una vita piena di compassione. Budda guardò l’uomo
tranquillamente, poi abbassò gli occhi e ascoltò, semplicemente. Ora i suoi
discepoli non si contentarono più di agitarsi, le loro sopracciglia si
aggrottarono e si guardarono l’un l’altro interrogandosi con gli occhi. L’uomo
si alzò e disse a Budda che era un falso profeta e che, se veramente era chi
diceva d’essere, se il suo stato di coscienza era così elevato, perché non
rispondeva alle accuse fatte contro di lui? Budda era semplicemente seduto e
ascoltava attentamente. L’uomo se ne andò, facendo ancora rimbrotti durante il
cammino. Lo si poteva sentire da molto lontano, finché la sua voce non si udì
più.
Di nuovo il
silenzio si stese sull’assemblea, ma questa volta si avvertiva un senso di discordia. Un
discepolo avvicinò Budda con rispetto e gli domandò: “Onorato del mondo, perché
non hai risposto alle critiche del pazzo? Perché non gli hai mostrato il tuo
potere yogico e con la tua saggezza vincere la
partita?” Budda disse: “Non si tratta di vincere o perdere in situazioni come
quelle, ma di offrire insegnamenti preziosi ed è quello che ho fatto”.
“ Eh,
Maestro, che insegnamento è?”.
E Budda
disse: “Se tu mi avessi portato un mazzo di fiori, una scatola di dolci e una
stoffa di seta e non li avessi accettati e te li avessi lasciati, cosa avresti
tu e cosa avrei io?”
“Oh, gran
Maestro, io avrei i fiori, i dolci, la seta e tu non avresti niente”
Budda
disse: “Caro discepolo, è lo stesso per le parole insultanti di una persona”.
Budda offrì la sua gioia a tutti in quel momento, con lo splendore della luna
che rischiara le tenebre nel suo sorriso. Ognuno sentì la propria gioia salire
dall’interno. Sentirono anche che l’autore degli insulti doveva anche lui aver
ricevuto una grande benedizione. Potete dirvi nella vostra mente in questo
momento: “Non sono un Budda”. Ma in effetti, si, lo siete. Per noi tutti,
compreso per Budda, è l’oggetto di una pratica ( che vuol dire qualcosa di
pratico) spingere i limiti della nostra coscienza al di là dell’identità e del
condizionamento, in modo da trovare dentro di noi ciò che cerchiamo altrove.
Era tempo
di lasciare quel thè delle 16 con il mio Maestro.
L’ho lasciato nella sua calma piena di un profondo silenzio. Non si accorse che
ero andata via e non aveva bisogno di rimarcarlo per un riguardo verso di me.
Ritornerò domattina alle 8,30 per il thè della
colazione, se c’è un domani. Uscendo, c’era là Swamiji
che mi aspettava. Mi disse che il giovane aveva intervistato molte persone e
aveva 35 ore di materiale sulla felicità. Bene, supposi allora che avesse da estrarre
almeno un video di 1 ora e 30 da tutto quello senza aggiungere nulla da parte
mia. Ho dunque domandato a Swamiji di volergli
trasmettere questo messaggio.
In effetti
sento nel più profondo del mio cuore che stava cercando la felicità da qualche
parte. Cerca la risposta magica che deve riempire il pozzo senza fondo della
mancanza, piena e debordante. L’ho sentita perché ho visto come la sua mente
s’è inalberata quando il concetto di felicità non ha più corrisposto alla sua
definizione. Ecco quello che è per ognuno, fino a che non arriva all’interno
del suo cuore.
Ogni essere
che vive nel mondo moderno, è di fronte all’insegnamento profondo della
felicità e alle conseguenze di vivere o
una vita che è inevitabilmente dolorosa, o l’altra che conduce al risveglio,
alla saggezza.
Infatti,
quel giovane si grattava molto la testa circa la nozione della continuazione
della felicità, che provoca tanta confusione, anche dopo 35 ore di interviste.
Sarà bene che si tuffi in sé profondamente, così profondamente che non possa
mai dimenticarlo. Anche in un clima difficile come quello del nostro mondo
tormentato di oggi, quando il desiderio di felicità tace, noi la troviamo
egualmente, che emana dal fondo del nostro cuore. Questo ci porta un certo
equilibrio e una certa sensibilità nella nostra vita. Si. Effettivamente era
sulla pista della scoperta di qualcosa d’autentico. Possa la Felicità, sotto la
forma della pace, prenderlo e stare sempre in lui. Questa la mia preghiera per
ogni anima che vive. E egualmente prego perché tutti si risveglino alla Verità.
Infatti,
era quella che formava la terza immagine che sorse da quel momento di silenzio,
durante il nostro thè delle 16.